lunedì 5 settembre 2011

Kaye Gibbons

A partire dalla prima metà del ventesimo secolo, tre generazioni di donne del North Carolina si tramandano i rimedi per sopravvivere. Il vertice di questo triangolo femminile è Charlie Kate, la nonna che ha medicine tutte sue per guarire malattie e infortuni, usate sempre con una particolare sensibilità: “Gli uomini venivano operati da svegli. La nonna sosteneva che, per quanto le donne fossero di norma abituate più degli uomini a sopportare il dolore e il sacrificio, nel momento in cui finivano sotto i suoi ferri non dovevano assolutamente soffrire. Mi raccontava che le sue pazienti adoravano il cloroformio, per la sensazione che dava loro di cadere all’indietro senza pensare, per una volta, ai pannolini, al bucato e alla cena da preparare. Era il grado di stanchezza sui volti di quelle donne a determinare la quantità di cloroformio che avrebbero ricevuto. A volte, quando la nonna si accorgeva che qualcuna di loro era messa a dura prova dalla propria esistenza, le faceva il favore di metterla fuori combattimento al punto di non poter nemmeno sollevare la testa o di pronunciare il proprio nome per il resto della giornata”. E’ un passo iniziale di L’amuleto della felicità che suggerisce in modo molto eloquente l’atmosfera ricreata, non senza una certa abilità, da Kaye Gibbons. Non bastasse vale la pena di ricordare anche la spiccia educazione sessuale di Charlie Kate: “Baciate quanto vi pare. Non c’è niente di male, nei baci. E’ come far spese in periferia per evitare il centro. Ma se gli lasciate infilare quel coso orrendo prima che vi sposi, non venite poi a chiedere a me di disfare ciò che voi avete così stupidamente combinato”. La felicità per Charie Kate, Sophia e Margaret non ha bisogno di amuleti o di preghiere, ma della lotta quotidiana che serve a tenere insieme le storie perché “i legami fragili si spezzano prima dell’alba”. La scrittura, anche nello stesso romanzo, diventa uno quasi uno strumento di autodifesa e un modo vitale e importante di preservare la memoria di donne che non si sono arrese. Come ha detto la stessa Kaye Gibbons in un’intervista: “Usando le tre generazioni si riesce ad avere una panoramica storica estremamente importante per il Sud degli Stati Uniti, perché narrando di tre generazioni copro tutti gli eventi che si sono succeduti nella storia recenti degli Stati Uniti: da un società rurale ci siamo evoluti in una società urbanizzata, cosa che con i passaggi di due generazioni soltanto non sarei riuscita a evidenziare. In più, si riesce a far vedere come le persone cambiano il loro modo di vivere. Riesco perciò a inserire una prosa molto più densa e completa. Per esempio, in L’amuleto della fortuna la nonna pensava soltanto a base di rimedi medici non proprio ortodossi, ma la nipote non può più considerare questa possibilità, quindi pensa di studiare e di diventare un medico. Quindi non si tratta tanto di un numero magico, quanto piuttosto della possibilità di dare un quadro storico completo del mio paese, della mia civiltà”. Missione compiuta. 

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