lunedì 26 settembre 2011

Elia Kazan

L’America America è una terra promessa che attira e incanta anche da una distanza impossibile. Per Stavros Topouzoglou è un’ossessione che lo divora perché l’America America è il sogno di fuggire dalla paura (c’è il massacro degli armeni in primo piano nelle scene iniziali), da una nazione, la Turchia, in cui lui e la sua famiglia (che sono greci) si sentono stranieri e anche dai riti e dalla consuetudini tradizionali, dai matrimoni combinati ai legami famigliari. Dopo che ha visto uccidere Vartan Damadian, suo amico e compagno di viaggio armeno, Stavros ne recupera il corpo, un gesto di pietà che, nella follia dell’eccidio, gli costa l’arresto e il biasimo delle autorità cittadine. Solo l’intervento del padre, Isaac, che arriva a umiliarsi e a supplicare (e a pagare) per il suo rilascio, gli consente di tornare libero. E’ in quel momento che entrambi, padre e figlio, prendono la decisione: Bayram, la città dell’Anatolia in cui vive la famiglia Topouzoglou non è più sicura nemmeno per i greci, e l’unica alternativa è andarsene. Isaac vorrebbe trasferire tutti a Costantinopoli, nella speranza che nella città cosmopolita si possano salvaguardare vita e affari. Ha l’idea di affidare al giovane e irrequieto Stavros tutti i beni di famiglia, comprese le doti delle figlie e il mulo, perché vada in avanscoperta da un parente che commercia tappeti. Nel suo schema, la famiglia lo seguirà, una volta che Stavros si sarà organizzato. Per lui quest’incarico è una sorpresa e un’occasione imperdibile: è da Costantinopoli che partono i piroscafi verso l’America America e il patrimonio famigliare caricato sul fedele mulo è più che sufficiente a garantirgli l’imbarco. Il sogno è a portata di mano e tanto include il tradimento di Stavros verso la famiglia, tanto un’odissea straziante. Nei terreni impervi dell’Anatolia, tra briganti e puttane, Stavros perde tutto, compreso il mulo, e per difendersi si scopre capace di uccidere. Nelle strade e tra le mura di Costantinopoli, deve sopportare un fidanzamento organizzato dallo zio che in realtà conduce poco più di uno scalcinato negozio in cui non entra mai nessuno. Finisce a fare il facchino per pochi e miseri soldi, faticando disperato e frugando nella spazzatura per poter mangiare qualcosa. Tra dozzine di peripezie e colpi di scena, Stavros riesce a imbarcarsi grazie a un torbido affaire con una ricca signora che continua sulle onde dell’Atlantico. Il prezzo da pagare per arrivare all’America America, il posto dove “costruiscono strade che tagliano il cielo” è spropositato: è la terra dei liberi e delle occasioni, è il sogno che distrugge il sogno. La metamorfosi si compie nell’amarezza che Elia Kazan racconta con uno stile asciutto, essenziale e impeccabile. Arrivato a Ellis Island, la frontiera di New York sull’oceano, Stavros è costretto a cambiare il suo nome, prima per fuggire alla vendetta del marito della sua generosa concubina e poi per guadagnarsi un posto da lustrascarpe con il nome americano americano di Joe Arness. Lucido, dolente e imperdibile.

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