lunedì 25 luglio 2011

William Carlos Williams

Mentore di un’infinità di poeti e narratori (non ultimi Allen Ginsberg, Jack Kerouac e compagnia beat & bella), William Carlos Williams è uno dei più profondi conoscitori del multiforme paesaggio storico e linguistico americano. Ne sono testimonianza il complesso percorso raccontato con Nelle vene dell’America e, in modo diverso ma altrettanto attraente, Il grande romanzo americano. Diciamo la verità: del romanzo, in senso stretto, ha poco o forse niente perché è uno straordinario assemblaggio di strumenti narrativi, saggistici e poetici. Difficile da sviscerare perché, come direbbe Walt Whitman, contiene moltitudini, e quindi molte contraddizioni. Vale a dire, l’America intera rivista come entità culturale e linguistica in tutta la sua complessità: William Carlos Williams cerca di comprendere perché “tutte le qualità che rendono la vita interessante, gioia, dolore, avventure, ambizione, esperienza,  a turno sembrano accentrarsi in questo luogo, irradiandosi da tutti gli angoli del mondo”. Lo fa agendo soprattutto sullo scorrere della narrazione del grande romanzo americano, senza prospettare particolari teorie, ma con quella sagacia, quell’entusiasmo e quella lucidità che hanno sempre distinto la sua scrittura. Essendo che “la letteratura è questione di parole”, William Carlos Williams inventa un romanzo che non è un romanzo, piuttosto un nuevo mundo, come dicono i suoi marinai dove la scrittura è libera di scegliere o non scegliere da che parte stare, assimilando e rigurgitando, senza schemi e con traiettorie irrisolte. E’ un tuffo pieno di incognite e di salti mortali perché “c’è il fuoco. Precipitati dentro. Che cos’è la letteratura a ogni modo se non la sofferenza registrata in mille sillabe palpitanti”. Finché William Carlos Williams quasi a convincere lui e noi che il suo è proprio Il grande romanzo americano arriva ad appropriarsi di una nuova definizione di romanzesco: “credere ciò che è incredibile. Questa è la fede: desiderare quel che non si potrà mai ottenere, volare come una rondine nel vento, in apparenza solo per il piacere di volare”. La progressione esponenziale: Il grande romanzo americano si nutre di parole e apre una finestra dopo l’altra su un mare che non è un mare, con un ultimo, dichiarato atto di fede: “L’immaginazione non verrà meno. Se non è una danza, una canzone, diventa un urlo, una protesta. Se non è spettacolare diventa deformità; se non è arte diventa delitto. Uomini e donne non possono accontentarsi dei semplici fatti di una vita monotona non più di quanto se ne accontentino i bambini, l’immaginazione deve adornare ed esagerare la vita, deve darle splendore e stravaganza, bellezza e profondità infinita. E la semplice accettazione di queste cose dall’esterno non è sufficiente, non è sufficiente dichiararsi d’accordo e confermare quando l’immaginazione esige l’energia creativa come soddisfazione. Lo spettacolare esprime la fede in quella energia, è un grido di gioia, una dichiarazione di ricchezza. E’ almeno l’inizio dell’arte”. Anche qualcosa in più.

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