giovedì 28 luglio 2011

Sherwood Anderson

Il romanzo perduto di Sherwood Anderson è una raccolta spicciola di storie, saggi e frammenti inediti che vertono in particolare sul rapporto con l’arte e in particolare dell’arte con la vita a formare un piccolo ma ottimo assaggio dell’autore di Winesburg, Ohio. L’avviso, peraltro messo in evidenza degli Appunti sul realismo, dice con molta chiarezza: “Nessuno sembra mai rendersi conto del atto che l’arte è l’arte. Non è la vita. La vita dell’immaginazione resterà sempre divisa da quella della realtà. Si nutre della vita reale, è vero, ma non coincide con la vita stessa, non potrà mai”. Un’avvertenza che avrebbe dovuto seguire il protagonista del romanzo perduto che non è di Sherwood Anderson, ma quello di uno scrittore inglese protagonista dell’omonimo racconto. Come un antico alchimista si dedica al suo libro giocandosi il posto di lavoro,  i legami famigliari finché la scrittura lo travolge senza pietà. Succede perché, come scrive altrove Sherwood Anderson, “l’immaginazione deve nutrirsi continuamente perché la vita immaginativa possa continuare ad avere un significato”. Non è automatico che gli sforzi vengano ripagati e questo è senza dubbio una delle estremità a cui tende la letteratura, che Il romanzo perduto racconta con una punta di perfida e realistica ironia. Il suo autore prova un “dolce senso di soddisfazione per averlo fatto, quel qualcosa”, soltanto che rimane la sorpresa finale, messa lì in bella vista da Sherwood Anderson, non solo a siglare un racconto esemplare, ma anche a inaugurare la navigazione tra le onde della scrittura. Quasi a richiamare il fallimento, l’inconsistenza, la natura volubile, se non proprio volatile, della materia del romanzo perduto, con Noi, ragazzini delle arti e con Quando qualcosa ci sta a cuore Sherwood Anderson si addentra nei gangli più intimi della scrittura a partire dall’essenza primordiale dell’immaginazione: “L’equivoco nasce dal fatto che tutti, non solo gli artisti di mestiere, sono dotati di una certa fantasia. La sola differenza è che la gente comune ha paura di affidarsi alla propria immaginazione, mentre l’artista ci sguazza da mattina a sera”. La definizione è lungimirante perché la connessione tra talento e tempo è quasi una formula matematica, per quanto il risultato rappresenti sempre un’incognita. Ricorda Sherwood Anderson: “I nostri tentativi di scrivere e dipingere, il nostro sforzo, era solo parte di qualcosa che desideravamo: tutti noi eravamo convinti che i nostri sforzi sarebbero evaporati in niente”. La motivazione, che in fondo è anche il senso implicito di questa bella antologia, è tutta in quell’appello a scrittori e lettori che Sherwood Anderson chiama “una nuova responsabilità: perché non è forse il fatto stesso di prendersi a cuore la sorte di ciò che ci sta intorno a lasciarcene intuire la musica segreta? E così ogni volta che qualcosa ci sta davvero a cuore vibriamo noi stessi di bellezza e musica”. A corollario si trovano anche i suoi Appunti sul realismo e un Galateo per conversazioni con scrittori, ideale per affrontare un dialogo tanto improbabile quanto indispensabile. 

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