martedì 26 luglio 2011

Gertrude Stein

C’era una volta gli americani contiene più di un libro: oltre alle storie delle famiglie famiglie americane, i Dehning e gli Hersland, e alle logiche e conseguenti divagazioni sulla natura stessa dell’America, è un tessuto ricettivo su cui Gertrude Stein sperimenta una forma di romanzo coraggiosa, se non proprio rivoluzionaria, innestando elementi su elementi, materia dentro materia, strati dopo strati. Il suo è nello stesso tempo un “making of Americans” usando la scrittura e l’autocelebrazione di una voce  unica, singolare, poliedrica e ricchissima. L’assimilazione delle storie avviene con un processo circolare ed evoluto che parte da una comprensione filosofica del tempo (“E così visto che il nostro modo di pensare è questo e non possiamo farci niente, nelle nostre storie i nostri antenati saranno uomini e donne avanti con gli anni oppure bambini appena nati o ragazzini. E dentro di noi saremo sempre noi gli uomini e le donne nel fiore degli anni”) e arriva alla plateale considerazione che “sì, siamo bambini molto piccoli quando cominciamo a vederci come uomini e donne adulti”. L’alfa e l’omega di C’era una volta gli Americani stanno proprio nei tentativi di circoscrivere le storie da un punto di vista temporale, quasi a voler identificare uno standard, un classico che Gertrude Stein riassume in effetti così: “Più uno guarda la gente sia pure di sfuggita e più fondata ha la sensazione che verrà un giorno in cui avremo una storia che comprenderà tutti quanti e tutti i tipi esistenti di uomini e donne”. C’era una volta gli americani si avvicina moltissimo a quel libro, anche se in realtà è una fenomenale introduzione ai misteri gaudiosi della lettura e della scrittura, che parte proprio dalla confessione di Gertrude Stein: “Scrivo per me stessa e per quelli che non conosco. Nell’unico modo in cui sono capace. Per me c’è qualcosa di vero in tutti quanti e ognuno somiglia sempre a qualcun altro. Nessuno tra quelli che io conosco vuol sapere quello che ho da dire e perciò scrivo per me stessi e per quelli che non conosco”. Il margine è molto ampio e C’era una volta gli americani è un libro che non si finisce più di esplorare proprio perché la simbiosi tra Gertrude Stein, la sua scrittura e le storie che racconta è concreta, tanto che lei stessa si scopre lettrice e dice: “E’ poi una strana sensazione quella che una prova più avanti quando scopre che c’è del vero nelle storie raccontate nei libri, come noi che una volta amavamo i libri che raccontavano storie, ci piaceva leggerli anche se non abbiamo mai veramente creduto che ci fossero dentro delle verità, e più tardi quando dalla vita stessa si traggono nuove illusioni accompagnate da una sorta di saggezza e si torna a leggere quei libri, eccole lì le cose in cui nel frattempo abbiamo imparato a credere e abbiamo subito la certezza che l’uomo o la donna che hanno scritto quei libri le cose che noi abbiamo passato tutta la vita a corrergli dietro loro le sapevano”. E’ proprio l’effetto, grandioso, che fa C’era una volta gli americani. 

1 commento:

  1. Caro Marco, leggo il tuo blog e...quanto mi piace! Ci interesserebbe scriverti per un'eventuale collaborazione con il nostro progetto. Nel caso fossi interessato, mandaci il tuo indirizzo email a redbox@mixtape.it, grazie per il tuo tempo ;)

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