lunedì 18 luglio 2011

Francis Scott Fitzgerald

L’insegnante è particolare, frizzante, pungente e singolare. Spesso è altrettanto spiazzante e coraggioso nel dispensare consigli e conclusioni e nell’elencare le probabilità e gli imprevisti della scrittura e della lettura, due metà indivisibili della stessa realtà, e questo basterebbe ad alzare il tono di uno spicciolo manuale per adepti e specialisti. In più Francis Scott Fitzgerald alimenta una visione della letteratura tra le più sensibili, acute e condivisibili di sempre quando dice: “Questa, in ogni caso, è fra le cose più belle della letteratura: scopri che i tuoi desideri sono universali, che non sei solo, che non sei isolato da nessuno. Sei parte di”. Una precisazione che non può lasciare indifferenti soprattutto se si pensa che il mestiere di scrivere e di leggere parte comunque da una scintilla che nella sua essenza è solitaria e silenziosa perché, scrive ancora Francis Scott Fitzgerald “che sia qualcosa successo vent’anni fa o soltanto ieri, all’origine di tutto ci dev’essere un’emozione; un’emozione che mi tocchi da vicino e che io possa capire”. L’argomento è evanescente per definizione, le idee, le storie, i personaggi appaiono e scompaiono e quindi qualche punto fermo è utile. Prima regola, trattandosi di uno sforzo imponderabile e complicato: “Il lavoro è praticamente tutto. Ma non sarebbe male poter distinguere tra il lavoro utile e la semplice fatica. Anche questo, forse, fa parte del lavoro: saper cogliere tale differenza”. E’ fondamentale perché scrivere e/o leggere devono essere indipendenti da ogni altro fine, sono loro, il fine. Seconda regola, quasi consequenziale e altrettanto importante, se non di più: “Non si scrive per dire qualcosa; si scrive perché si ha qualcosa da dire”. La pagina bianca è un’invenzione inutile perché quando si comincia succede che, come scriveva Francis Scott Fitzgerald a Max Perkins “i personaggi non smettono mai di pensare, parlare, sentire, e tu pensi, parli, senti con loro”. E’ in quel momento che diventa concreto, palpabile l’essere parte di, ovvero quando “i fili della tua vita iniziano a intrecciarsi in un’unica trama, in modo che la fine di un lavoro coincide automaticamente con l’inizio di un altro”. Questi comandamenti sarebbero presuntuosi, se non fosse che, pur nella sua grandezza, si riconosce in Francis Scott Fitzgerald l’umiltà di chi riconosce di essere soltanto una metà come scriveva in Crepuscolo di uno scrittore: “Noi scrittori, perlopiù, siamo costretti a ripeterci: questa è la verità. Abbiamo due o tre esperienze intense e toccanti nella vita; esperienze così intense e toccanti che non sembra possibile, al momento, che qualcun altro sia mai stato così coinvolto, colpito, abbagliato, sbalordito, battuto, spezzato, riscattato, illuminato, ricompensato, avvilito. Poi impariamo il mestiere, più o meno bene, e raccontiamo le nostre due o tre storie, ogni volta in forma diversa, forse dieci, forse cento volte, finché la gente le sta ad ascoltare”. Essere parte di, ed è tutto quello che serve.

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