giovedì 30 giugno 2011

John Fante

John Fante è stato il capostipite, il barfly per eccellenza che ha poi istruito e cresciuto generazioni e generazioni di outsider riconducibili da una parte a Tom Waits e dall’altra a Charles Bukowski, il suo primo ammiratore e naturale debitore (“Fante ha avuto una grande influenza su di me”) che ha capito più tutti il senso ultimo del suo stile: “Le parole scorrevano con facilità, in un flusso ininterrotto. Ognuna aveva la sua energia ed era seguita da un’altra simile. La sostanza di ogni frase dava forma alla pagina e l’insieme risultava come scavato dentro di essa. Ecco, finalmente, uno scrittore che non aveva paura delle emozioni”. Chiedi alla polvere diventerà ed è ancora un modello di riferimento perché John Fante riunisce il carattere ribelle dello spirito giovanile con la prima percezione della maturità e quindi con la coscienza della sconfitta come elemento caratteristico della vita americana, e non solo. Arturo Bandini è l’emblema del loser irrispettoso, caustico e incontrollabile che proprio con Chiedi alla polvere comincia a vivere di vita propria. E’ il ramo più antico di quell’albero genealogico che poi vedrà gli illustri Henry Chinaski per Charles Bukowski e Frank Leroux, l’epigone dei “rain dogs” di Tom Waits rileggerne e interpretarne le gesta in un saga, tutta californiana, di splendidi fuoriclasse la cui essenza è descritta proprio tra le righe di Chiedi alla polvere: “Non tiratevi mai indietro di fronte a una nuova esperienza. Vivete la vita fino in fondo, prendetela di petto, non lasciatevi sfuggire nulla”. Anche la scrittura nasce nello stesso modo, istintivo e istintivo, come se Arturo Bandini e John Fante avessero in comune soprattutto l’appartenenza a una categoria fuori dagli schemi che se proprio deve affrontare l’ossessione della scrittura se la prende con comodo, più con il senso dell’abbandono che con la disciplina: “Hai davanti a te dieci anni per scrivere un libro, vacci piano, allora, guardati attorno e impara qualcosa, gira per le strade”. La vita, la vera e unica fonte d’ispirazione, si trova lì e come ha scritto Stephen Cooper, Chiedi alla polvere “rappresenta un esempio notevole di necessità realistica e forza poetica. Rispetto agli altri tre romanzi della saga Bandini, e a tutte le opere che recano il nome John Fante, irradia un’aura di precisione senza tempo nel narrare i desideri di un giovane: quello di scrivere e poi, pensiero fisso, alla fine controproducente, di un amore ricambiato”. Il tono è proprio quello, accorato ed esagerato, frutto per ammissione dello stesso John Fante di “sei settimane, tre, quattro, a volte cinque ore dolcissime ogni giorno, ore di delizia; le pagine si accumulavano una sull’altra e ogni desiderio era spento. Mi sentivo come un fantasma che fluttuava sulla terra, ero in pace col mondo e straordinarie ondate di tenerezza mi sommergevano quando mi mescolavo alla folla per le strade e parlavo con la gente”. Chiedi alla polvere e ti sarà dato: se ha un senso, la parabola di John Fante, è proprio questo.

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