mercoledì 15 dicembre 2010

Larry McMurtry

Lonnie, giovane cowboy che sta rapidamente crescendo, vede svolgersi tutta la vita e la morte e il tempo che le collega nel ranch del nonno: piccole incombenze quotidiane e grandi tragedie, a partire dallo sterminio del bestiame, si susseguono nello scenario intenso e crudele del Texas, incrociando i passi degli uomini, che non sempre vanno nel verso giusto. Una voce di Hud il selvaggio lo dice in modo più prosaico e senza usare mezzi termini: “Le cose non vanno come dovrebbero, ecco tutto. C'è tanta di quella merda in questo mondo che uno prima o poi ci finisce in mezzo per forza, che faccia attenzione o meno”. Solo un grande scrittore, un narratore con la sensibilità e il gusto per le immagini, per i dialoghi e per l'ambiente, uno storyteller che è sempre molto vicino ai suoi personaggi, come se fossero vivi, come se fossero reali, poteva immaginarsi la vita in un ranch del Panhandle, ovvero il Texas più profondo, come un sistema solare. Sostituendo i pianeti con gli uomini e le donne che ruotano attorno ad un sole effimero chiamato di volta in volta felicità, prosperità, amore, si avrà lo schema alla base dello scenario di Hud il selvaggio, romanzo d'esordio di Larry McMurtry, datato 1961, che inaugurò la fortunata carriera di uno scrittore amatissimo dal cinema (a partire da L’ultimo spettacolo, da cui Peter Bogdanovich trasse uno dei suoi film migliori). La trama è un intreccio di passioni, iniziazioni, deviazioni che Larry McMurtry annoda con un gusto certosino, quasi macchiavellico, ma che poi snocciola con una scrittura florida, ritmata piena di odori, di sapori e di tutto ciò che Lonnie, il giovane protagonista, riesce a vedere e a sentire. Comprese ovviamente le malefatte di Hud, un ribelle fuori posto, e il crepuscolo del nonno, il proprietario del ranch, che se ne va insieme a tutto il suo piccolo mondo antico. Larry McMurtry cesella una storia dentro l’altra con un linguaggio molto lineare e immediato, ma che salda dialoghi, immagini e azione in un intreccio densissimo di cui si riescono a percepire tutti i particolari solo per l'innata propensione dello scrittore texano a vedere e a mostrare, quasi che la scrittura fosse lo strumento per decifrare una visione. Un peso specifico non relativo l’hanno anche le canzoni di Hank Williams che sembrano onnipresenti nell’aria del Texas. Quando al gran ballo del villaggio, l’orchestra suona Ghost Rider In The Sky, la canzone s’intona “con tutto meglio, di qualunque altra cosa. Le poche storie che la gente sulla pista da ballo poteva raccontarsi erano già state raccontate nelle canzoni come quella, e la loro vita, e le cose che sapevano e per le quali viveavno era già descritte in quella triste, antica melodia”. Per Hud il selvaggio, qualcosa in più di un colonna sonora: un grande romanzo, invecchiato come si concede ad un vino speciale, perché ancora a distanza di più di quarant’anni Hud il selvaggio riporta in un libro sapori forti e pungenti, rimasti tutti intatti e che ormai hanno anche il gusto della rarità. 

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