mercoledì 1 dicembre 2010

Jim Harrison

La “cronaca di una morte annunciata”, quella di Donald, un uomo che amava la vita come la terra, schiude una rete di legami, di affetti, di storie che sono qualcosa in più di una famiglia e rappresentano la vera anima e il senso ultimo dell'esistenza. Nell’assecondare l’attesa della morte, ormai inevitabile, le moglie e i figli ricostruiscono intere vite e condividono fino in fondo Donald “la religione in gran parte non detta” che in realtà è un inno alla gioia di vivere. La sua logica è sempre stata molto semplice: “Se un uomo vuole fare qualcosa è meglio che ci dia dentro” e lui non si è mai tirato in dietro. Di più, ha sviluppato ha compreso che gran parte della nostra vita, se non proprio tutto, avviene nella nostra testa e confessa di aver speso molto del suo tempo “nel controllare la realtà e assicurarmi che sia quello che credo che sia e di norma mi piacciono le zone più remote dove la mente vuole portarmi”. Un personaggio che contiene già un romanzo, anche se poi la questione è un po’ al contrario. “A me piacciono le storie con dentro le persone” dice uno di loro e sembra più una confessione di Jim Harrison che della voce di uno dei personaggi perché agganciando ricordi su ricordi non riprende forma soltanto la vita del predestinato, ma anche quella di tutte le altre esistenze che, in un modo o nell'altro si sono intersecate con la sua. Come il coro di un tragedia, le voci dei personaggi si sovrappongono, una dopo l'altra, senza soluzione di continuità, a creare una sinfonia, una “sola” voce che racconta il sogno, la realtà, la vita, la morte: quando mangiano, quando viaggiano (due delle attività fondamentali per i personaggi del romanzo) è uno scorrere di tentativi, di emozioni, di ricerche, un modo di restare legati alla terra, all'anima di chi se ne va, ma anche a se stessi, come se fosse l'insieme a determinare la personalità, l'anima stessa. E’ proprio qui il senso del romanzo: nella differenza tra “reale valore” e “puro costo”, due metafore di derivazione economica che però Jim Harrison utilizza per spiegare il senso dei legami perché “quella che consideriamo la realtà comune ha bisogno del contatto e della rassicurazione di altri” e di volta in volta dobbiamo decidere in quale colonna, valore o costo dobbiamo iscrivere i nostri dati. “Non si può essere certi di chi siamo” si legge  infatti ad un certo punto e si capisce anche perché L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcìa Màrquez ritorna con una certa frequenza. Nelle prime pagine di quell’atipico romanzo di Gabo si legge: “Ognuno è padrone della propria morte”. E’ il senso ultimo del ritorno alla terra, perché a differenza di come è stata affrontata in tempi recenti dai coetanei Richard Ford e Philip Roth la morte è vista come scelta (“Puoi ricordarmi ma lasciami andare”, dice Donald allo scoccare dell’ultima ora), così come la vita che viene illuminata dalla fine, così come il romanzo è si conclude e si accende quando è il momento di “salire sulla collina”. Toccante e attualissimo.

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