mercoledì 24 novembre 2010

Harry Crews

Ognuno ha i suoi santi protettori e i suoi patroni. Se gli abitanti di Mystic, Georgia hanno scelto di identificarsi con i crotali, e altri serprenti non del tutto innocui, qualche motivo ci sarà. Forse non è nemmeno importante saperlo, forse è anche meglio non saperlo perché la passione cittadina diventa un vero e proprio delirio collettivo quando, una volta all’anno, a Mystic si danno convegno tutti gli appassionati d’America (con i rettili al seguito, naturalmente). La fiera dei serpenti, ecco il perché del titolo, oltre a prevedere la caccia ai crotali, fiumi di birra e whiskey (con le relative sbronze e le altrettanto inevitabili risse), duelli tra cani e altre raffinatezze, è la migliore occasione perché i cittadini di Mystic e i loro ospiti offrano il meglio, che poi è anche il peggio, delle loro vite. Tutti insieme appartengono a un grande coro tragico che celebra la follia, gli orrori e la disperazione che aleggia su Mystic. C’è qualcosa di gotico e di “sudista” in modo palpabile nella ricostruzine della vita senza troppi orizzonti in una “smalltown” della provincia, giusto nel bel mezzo del nulla. Le parole di Harry Crews, lapidario come sempre, non lasciano dubbi sul tenore di vita a Mystic: “Per alcuni le cose cambiavano. Ma per altri no. In ogni caso, rimanevano aperte molte possibilità. Per esempio impazzire, rincorrendo l’illusione che un giorno sarebbe stato diverso”. Ogni personaggio è una storia a parte. Lo sceriffo, tanto per cominciare, è un reduce del Vietnam che ha lasciato laggiù una delle sue gambe e ha un concetto della legge e della giustizia tutto suo, soprattutto nei confronti dell’altro sesso, specie se giovane e di colore. Joe Lon Mackey che dovrebbe essere il protagonista della Fiera dei serpenti (il condizionale è d’obbligo perché l’insieme dei volti è una massa deforme che sembra muoversi all’unisono) alleva crotali (sono un’ossessione, in questo romanzo), smercia whiskey illegale a tutte le ore e coltiva un buco nero nella sua anima perché è marito e padre senza riuscire a essere né l’uno né l’altro. Essendo anche il figlio di un allevatore di cani da duello abituato ad ammazzarli a calci se non vincono (dopo averli cresciuti con un particolare gusto sadico), il quadro famigliare dovrebbe essere completo, e va detto che loro non sono nemmeno i peggiori, tra gli abitanti di Mystic. Quando si entra nel vivo della festa, con bestie che strisciano ovunque, gran rumore di “rattlesnake” e un’alluvione di alcool che sfocia in un generale delirio, l’affresco di Harry Crews si completa e diventa una cruda, spietata e nello stesso tempo imponente rappresentazione delle miserie umane. Si capisce fin da qui che La fiera dei serpenti non è un romanzo accomodante e come Harry Crews fugge qualsiasi accento consolatorio: è eccessivo, rocambolesco e tagliente. Punta all’abisso e, con un ritmo travolgente e una precisione martellante, arriva a toccare il fondo. Dove i crotali, al confronto delle tragedie umane, non fanno più nemmeno paura.

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