venerdì 26 novembre 2010

Edward Bunker

L’educazione, se si può chiamare così, di Alex Hammond, il nostro Little Boy Blue, è una lunga, crudele e spietata teoria di case di correzione, affidamenti, manicomi, riformatori, ghetti e vicoli ciechi. Qualcosa che si può scoprire anche nella stessa autobiografia di Edward Bunker, Educazione di una canaglia (dove confessa senza censure quel disagio che è nello stesso tempo la spinta principale che lo tiene aggrappato alla vita: “Io non avevo nessuna idea di ciò che volevo, tranne che sentivo in me la rabbia di attraversare le esperienze della vita e un desiderio altrettanto potente e urgente di conoscenza”) o altrimenti in Cane mangia cane o Come una bestia feroce. In fondo, il mondo che racconta Edward Bunker è sempre lo stesso e le sue storie sembrano lunghi blues che spesso si ripetono in circoli viziosi, ma il punto è che non è un mondo che viene raccontato molto spesso perché per respirare l’aria dei bassifondi, delle autorità ciniche e violente, della freddezza della burocrazia che non distingue un bambino solo e disperato da un criminale incallito, ci vogliono coraggio, sensibilità e altrettanta esperienza. Ad Edward Bunker, che ha frequentato la miglior scuola di scrittura creativa possibile, ovvero la strada, le doti e i vissuti non sono mai mancati: è entrato ancora adolescente in uno dei peggiori carceri americani, San Quentin, e, in diversi periodi e per varie condanne, dietro le sbarre ha passato quasi vent’anni. L’hanno salvato la lettura, prima, e la scrittura, poi, perché in quei momenti bui, tristi e violenti “un libro era un libro, un varco possibile verso luoghi lontani e meravigliose avventure”. Di riflesso, succede ad Alex Hammond. Anche Little Boy Blue “infatti, finché aveva dei libri, preferiva vivere nei mondi che narravano, piuttosto che nelle brutture del mondo reale”. Fuori, c’è la California, Hollywood, l’oceano, il deserto, ma non c’è mai un happy end. Anzi, spesso è proprio nel finale che tornano ad aprirsi gli abissi della vita criminale, come nelle ultime, spietate pagine di Cane mangia cane o nell’ormai disperata determinazione di Come una bestia feroce (“Fanculo alla società. Fanculo al suo gioco. E se anche le difficoltà erano molte, fanculo anche a quelle) o per lo stesso Little Boy Blue che vede disintegrarsi, in una spirale sempre più subdola e straziante anche le ultime, residue possibilità di una vita più o meno normale. Con questo, non si perde nulla di ciò che potete scoprire leggendo Edward Bunker (magari proprio a partire da Little Boy Blue) perché la sua storia, le sue storie, non vivono della suspense del thriller o del fascino maledetto del noir (come nei libri di James Ellroy, suo dichiarato ammiratore, tra i tanti). Sono un affresco vivo, tagliente, privato di qualsiasi edulcorazione e senza un filo di consolazione di un mondo di outsider, di fuorilegge e di disperati a cui, se non altro, Edward Bunker è riuscito a restituire la dignità di un ricordo. Se non serve a questo la scrittura, allora non serve a niente.

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