venerdì 22 ottobre 2010

Bertha Thompson

E' difficile capire quale sarà il capolinea di un treno merci: forse chi ci salta sopra, rischiando ogni volta la vita, non pensa mai a dove o a come andrà a finire. Prende un treno qualsiasi, perché ha perso tutti gli altri o anche perché, come nel caso di Bertha Thompson, meglio nota come Box-Car Bertha, semplicemente gli servirà per “imparare tutto sulla vita e in particolare tutto sui bassifondi”. La sua autobiografia di nomade radicale e ribelle, datata 1937, racconta “con assoluta veridicità tutta l’America, un’America lacerata e in rotta”: scioperi e arresti, hobo e bordelli, puttane e rivoluzionari, ladri e biscazzieri, hobo e semplici disperati costituiscono il paesaggio umano raccolto binario dopo binario e raccontato da Bertha Thompson. Sono passati solo pochi anni dal 1929 e il clamoroso crollo dell'economia americana (niente di nuovo sul fronte occidentale, nemmeno un secolo dopo) ha disintegrato per sempre sogni e illusioni: le ultime occasioni per sopravvivere sono sulla strada, lungo l'asse ferroviario (quasi fosse l’ultimo appiglio all’idea di nazione), nei quartieri malfamati e dietro l'angolo di ogni giorno ce n'è un altro più povero, più triste, più umiliante. Affiorano anche oasi di resistenza, dove il senso della comunità riaffiora nella solidarietà delle sisters of the road, le sorelle della strada, per cui non è solo importante viaggiare gratis (che per loro è proprio “una questione di principio”), ma anche organizzarsi ed eguagliare l’altro sesso nella pratica del tagliare i ponti e fuggire, spesso e volentieri saltando sul primo treno merci di passaggio. Il nomignolo Box-Car Bertha non è casuale, visto che si riferisce proprio ai vagoni che l’hanno ospitata nella sua personalissima odissea: per raccontarla, Bertha Thompson sceglie un linguaggio diretto, deciso, senza tanti fronzoli letterari e con l'urgenza di testimoniare un mondo sfuggente per la sua stessa natura. La sua ricchezza va cercata nello slang, nel valore di storie che altrimenti andrebbero perdute, storie che “si somigliavano tutte, niente lavoro, una famiglia disastrata, nessuna prospettiva di matrimonio, tanta voglia di divertirsi, di libertà sessuale, di vita, e la curiosità di sapere quello che altre donne stavano facendo”. Nelle crisi, che non sono mai soltanto economiche, c’è sempre qualcuno che paga più degli altri, le donne prima di tutti, e il valore aggiunto di Box-Car Bertha è nel suo cercare, tra le macerie, nel disordine della fuga, della fame e della disperazione, non soltanto una formula di sopravvivenza, ma anche un nuovo e risoluto modello di emancipazione. E' un libro che rende possibile un riscatto, tutto femminile, e quindi a maggior ragione Box-Car Bertha è unico perché Bertha Thompson si può sistemare con tranquillità tra i John Steinbeck, i James Agee, i Woody Guthrie, i Tom Kromer nella posizione scomoda, ma indispensabile, di chi ha scelto di raccontare le miserie americane, e il sogno quotidiano di una fermata che non sia l'ultima.

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