lunedì 9 agosto 2010

James Dickey

Anche a distanza di oltre trent'anni dalla sua pubblicazione, Un tranquillo weekend di paura è una storia (tanto in versione letteraria quanto in quella cinematografica, per la regia di John Boorman) fondamentale per comprendere la cognizione della wilderness americana. Durissimi, spietati, feroci e senza lieto fine all'orizzonte, tanto il film quanto (e più) il romanzo hanno come protagonista assoluto il fiume e un paesaggio che, come è vero, vive di vita propria. L'assunto principale di Un tranquillo weekend di paura è che Lewis, Bobby, Drew ed Ed hanno perso (come tutti noi) il contatto con la natura e non basta certo un fine settimana in canoa per ritrovarlo. Anzi, l’alveo del fiume diventa ben presto un'entità oscura, impenetrabile e minacciosa come racconta Ed: “I luoghi cominciavano a essere molto solitari e silenziosi. Ricordai che potevano spaventarmi e subito mi spaventai. Era la splendida impersonalità del posto a impressionarmi; non avrei mai creduto che potesse colpirmi tutto a un tratto in quel modo, o con tanta forza. Il silenzio e il suono-silenzio del fiume non avevano niente a che vedere con noi”. Non si potrebbe dire meglio. Le sole note dissonanti sono gli accordi della Martin di Drew che suona pezzi di Gary Davis, Dave Van Ronk, Merle Travis, Doc Watson, affascinato dal panorama e dall'aver incontrato un giovane banjoista (“Ci sono canzoni, tra quelle alture, che i collezionisti non hanno mai registrato su nastro” e forse nemmeno Alan Lomax o Harry Smith sarebbero mai passati da quelle parti). I frammenti di musica, fondamentali nell’economia della storia (a suo tempo la colonna sonora del film contribuì non poco ad una delle cicliche riscoperte delle radici musicali americane) sono l’unica forma, in sé volubile e frammentaria, di un impossibile dialogo con gli abitanti radicati nella wilderness, resi in modo piuttosto feroce e univoco da James Dickey. Una versione più cortese sarebbe risultata improbabile, vista la volontà di sottolineare l’enorme e incolmabile distanza tra due mondi ormai separati per sempre. Il dramma non tarda a giungere (anche se poi la natura ha responsabilità relative: è sempre il genere umano l’animale più feroce) e tra i cittadini in cerca di emozioni e i loschi individui che sono emersi dalla foresta si scatena una caccia dove prede e predatori sono ruoli che, “dove porta il fiume”, diventano interscambiabili. I dettagli, e molti altri risvolti, vanno scoperti attraverso la dettagliata e scorrevole scrittura di James Dickey, che di Un tranquillo weekend di paura ha detto: “Volevo far vedere un uomo che, per difendere la propria vita e quella di due persone che dipendono da lui, diventa un eroe e insieme un criminale: volevo far vedere, in effetti, che non esiste un reale confine tra i due, a volte o forse in generale”. Simbolico che, nel finale del film, James Dickey impersoni lo sceriffo (John Voight è Ed e Burt Reynolds è Lewis) ed è altrettanto emblematico che sia un lago artificiale, alla fine, a nascondere definitivamente una storia piena di ambiguità, di luoghi e di contrasti che fanno pensare, e non poco.

Nessun commento:

Posta un commento