venerdì 6 agosto 2010

Chester Himes

Le prime pagine sono straordinariamente nere, nerissime e folgoranti: non solo perché tre dei quattro protagonisti iniziali sono afroamericani, non solo perché l'aria (cupa e pesante) è quella dei grandi noir (la New York City di Chester Himes sembra la Los Angeles di Raymond Chandler) e non solo perché tutto comincia in una notte di follia e di paura, ma soprattutto perché ben presto si sprofonda e in un'oscura selva dell'anima i cui profili razzisti e xenofobi contribuiscono a rendere ancora più inquietante. Un detective del NYPD, la polizia di New York, completamente sbronzo e, si scoprirà, parecchio psicopatico, uccide, a sangue freddo e senza alcun motivo, due inservienti di una tavola calda e tenta di ammazzarne un terzo, giusto per non lasciare testimoni. New York City, “una città pulita e pacifica, che si stava consumando poco alla volta”, viene disegnata nelle geometrie ombrose di Chester Himes come un grande palcoscenico in cui, per dirla con le sue parole, va in scena "un mondo di orrore sempre più nero". Volendo, potrebbero bastare i personaggi, a partire da Matt Walker (il detective con un debole per la bottiglia e per il  grilletto) fino alla classica femme fatale, Linda Lou Collins, una cantante che crede di condurre i giochi (che hanno tutta una loro perversione psicologica tra vittime e carnefici) e invece è soltanto una particella in un meccanismo infernale. Invece, Corri uomo corri è un grande romanzo perché spesso, senza preavviso, i ruoli s'invertono, dubbi e perplessità morali non esistono e neanche tante distinzioni tra bianco e nero o tra uomo e donna: la storia travolge tutto e tutti, a partire dai protagonisti per finire con il lettore. Per cui capita, per esempio, che la vittima designata, Jimmy Johnson, l'unico scampato al massacro iniziale, ad un certo punto decida di ribaltare tutto quanto e in una discussione con Linda Lou Collins dice: “Possiamo restarcene qui tutta la notte, a discutere di cosa è giusto e cosa è sbagliato. Tu hai la tua opinione, e io ho la mia. Non riuscirai a convincermi, e io non posso convincere te. Saranno mille anni che la gente discute di giusto e sbagliato. Io ne ho abbastanza. Ho tutte le intenzioni di uccidere quel farabutto schizofrenico e continuare a vivere la mia vita”. E’ una lotta per la sopravvivenza senza esclusione di colpi che Chester Himes tratteggia con un ritmo serrato, teso e sincopato, quella scrittura che ha fatto dire a James Sallis: “Non esiste altro scrittore americano che abbia saputo creare una tale quantità di scene memorabili, situazioni toste e durature come un'impronta lasciata nel cemento, e in più con una stupefacente economia di dialogo e linguaggio”. Tra le righe e lungo il profilo del romanzo, Corri uomo corri non nasconde la ben nota urgenza di Chester Himes per la condizione afroamericana anche se, almeno in questo caso, diventa l'occasione per un sguardo più complesso, quando infatti fa notare che “forse era successo appena la notte scorsa, oppure molto tempo fa. Ma, da qualche parte, all'ingranaggio dell'american way of life era saltato un dente; o magari era proprio una questione di cuore. Il cuore che aveva perduto un battito, senza più recuperarlo”. Un maestro del noir e un grandissimo scrittore.

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